E loro, tutte e quattro le sorelle Rotunno, come altre mille e mille come loro che loro qui rappresentano, ce l’hanno fatta, ciascuna a suo modo e in campi diversi dell’impegno sociale, ma ce l’hanno fatta, a dispetto di  pregiudizi e discriminazioni. ), appunto fermandoci nella memoria su episodi e persone che al tempo nostro hanno dato corpo. Anzi… ne resta spesso appena il sapore agrodolce della conquista occasionale e provvisoria. Sta crescendo, Forbus, e questo Cantasogni lo mostra più attento ai mezzi espressivi e acceso di volontà comunicativa: asciutto il linguaggio, articolata la maniera del verso, convincente il messaggio, personale ma aperto a prospettive in cui non è difficile affacciarsi. File:Santi protettori (immagine sopra), San Nicola (immagine sotto).jpg. Forse, però, non si può sempre permettere che la pazienza sia sinonimo di vigliaccheria. In una simile dimensione fisica, che diventa al tempo stesso uno status dell’anima, lo scrittore e il lettore insieme perdono contatto con la realtà, e salgono e scendono da quel treno regionale che ansima e zoppica e perde progres­sivamente l’orientamento – simbolo chissà quanto occasionale della so­cietà nella quale perdiamo cognizione dell’essere, forse finanche una sana apotropaica cognizione del dolore –, e scoprono che non c’è altro, oltre quello che ritenevano tale, uno specchio del nulla [2017]. Solo chi si contenta, chi sa com­prendere le bellezze della vita nei suoi aspetti all’apparenza insignificanti, della vita è degno e non ne sente il peso. Memoria del tempo che fu, Edizioni Eva, Nicola Napolitano continua a scrivere nella sua nota biobibliografica che è “nato da una famiglia di agricoltori. Possiamo essere certi che, fidandosi di lei, della poesia, il nostro cercatore stia per giungere alla padronanza del maestro. È la morte alla vita terrena che dà fastidio, quindi, non quella che ruba alla vita e… amen, perché irreparabile comunque. Nato a Picinisco, studi a Napoli e vita da giornalista mondano a Roma, l’autore ebbe molta fortuna nei suoi tempi, ma visse poco per goderne. Come ci si trova nella varia tematica lirica e riflessiva che Anna Maria tocca in punta di penna, quasi sempre con lieve grazia, di rado affondando nella cattiveria che pure certe vicende potrebbero averle procurato. Queste citazioni dovrebbero chiarire lo spirito dell’autore di un simile libro (“non una guida, non un saggio storico” dice Carlino) che si configura come una personale antologia “di annotazioni, di divagazioni”. Fino all’esplosione poematica di Impromptu (del ’79) la poesia della Rosselli è ricca di sorprendenti provocatorie invenzioni, non soltanto estetiche-linguistiche, anche sintattiche-grammaticali (a causa pure dell’iniziale bilinguismo che caratterizza la sua scrittura): “la parola è in esilio sulla pagina” – ogni parola viene da lontane regioni dello spirito e trova occasionalmente spazio per mostrarsi e farsi altra e altro da sé. Gli animatori come Di Monda hanno ancora fiducia – perché negargliela? Caratteristiche comuni ovviamente ci sono – il libro è compatto: entrambi gli autori, per esempio, insistono sul carattere di gioco che ha, che deve avere la poesia, anche quando comunica qualcosa, ed entrambi ritengono la scuola responsabile prima dei guasti (antipatia e/o rifiuto) nei confronti della poesia): a scuola sì, che si finisce per dire “che noia!” se si pretende dai giovani inesperti di chiarire l’inesprimibile (quando proprio ai giovani si dovrebbe far comprendere quanta libertà di segni c’è nel linguaggio poetico, che ad essi in particolare potrebbe offrire chiavi di interpretazione della propria esistenza). La maturità sembra ormai prossima, e quell’amore di ragazzo è ormai una militanza consolidata. Una ragazza del sud è una testimonianza, e un viatico: chi ha sopportato tanto, non può esimersi dal farne partecipi quelli che rischiano di subire altrettanto. Il cielo di Marte è un piccolo libro – trenta poesie – denso di umori letterari e di attenzioni prosastiche, fitto di allusioni colte e insieme aperto al colloquiale, in una tessitura elastica, nella misura del verso e nella struttura della stanza che sono di tradizione italiana. Questa raccolta, insieme a Cenere e al volume di letture criti­che Scrittori contemporanei, uscito poco più di un anno fa, contri­buirà a ri­cordare e sottolineare l’importanza del la­voro letterario di Nicola Na­politano, un poeta rimasto negli anni sorprendentemente fedele a se stesso, nella france­scana lettura del suo mondo poetico di piccole cose e grandi sentimenti (e più che “epigono” dei crepusco­lari, un Pa­scoli un po’ cresciuto ma molto più arrabbiato con la cat­tiveria umana; e senza paura della retorica, ma non quella roboante dei tromboni del foro presi in giro da Totò, bensì la persuasiva, sua­dente musica delle parole di un amico che sa, e “onesto”, come Saba vo­leva). La storiella che ci racconta Lubrano è una storia nostra che avevamo finto di aver dimenticato, rimosso, e invece ce la ritroviamo sbattuta in faccia da un granchio o una cornacchia. Scaltrito dall’uso pluridecennale della parola, sulla carta e sulla scena (essendo anche un fecondo artista di teatro), l’autore di Sulla fronte degli anni offre buona prova delle sue abilità linguistiche espressive comunicative. In questo romanzo, coraggioso appunto perché coniuga i fatti privati e le congiunture storiche, storicizzando l’attualità (perché la Sicilia di allora – siamo alla fine della seconda Guerra – può ancora essere letta come metafora di quella di oggi, e non la Sicilia soltanto), in questo racconto di un sequestro a fini politici la vena narrativa di Busà si esercita in varie forme espressive. – “Una autobiografia che non è la mia” (a proposito della Coscienza di Zeno)… Il sottotitolo: vita parallela, che Lino dà al suo libro può semplicemente essere la metafora della poesia: o il tentativo di fingersi un altro (o di pensarsi in un oltre diverso da qui) – o è paura, discrezione, modestia, umiltà… nel descrivere la vita di un altro (sia pure in parallelo) per non esibire la propria, non volendo proporre, non pensando di poterla imporre come modello (è un gioco, e le regole le ha fatte lui: fingiamo pure noi di starci e seguiamolo, accettiamo la sfida). Forse Camilleri soltanto poteva (permettersi il lusso di) “conversare” su Tiresia, ma conversando con Tiresia, anzi quasi da Tiresia, come se cioè fosse lui stesso quel vecchio protagonista di tanti momenti letterari nella storia della cultura occidentale. Nonostante la distruzione in corso… Qui assistiamo a un “ballo di fantasmi” – e in sottofondo come musica andrebbe meglio una “danza degli spettri”. Rosalba De Filippis, Il filo forte del liuto, Campanotto, Molisana di Macchiagodena, che non disdegna di scrivere poesie per la sua terra (“sono donna del Sud”), Rosalba De Filippis vive a Firenze e pubblica con l’editore Campanotto di Udine. Il paesaggio cittadino (scorci di Napoli e delle città del golfo di Gaeta) e la formazione sentimentale sono i temi dominanti, fino a potersi dire che ormai al paesaggio stato d’animo si va sostituendo un (insostenibile) sentimento dell’ambiente; malgrado in parte respinto e comunque difficilmente assimilabile, qui l’ambiente è sentimento. In questa rigorosa ricostruzione storica e letteraria (non solo i vangeli canonici, è ovvio, ma gli apocrifi e altri scritti del suo tempo), Gesù si staglia nella sua umanità a tutto tondo, o quasi: mancano comunque notizie su alcuni anni della tarda giovinezza, anche se Contenti ipotizza un lungo viaggio in Persia, sulle orme dei magi, i sacerdoti del mazdeismo – religione dalla quale Gesù sembrerebbe profondamente ispirato nel concepire la sua rivoluzione contro la tradizione dell’ebraismo. La vita di una persona non è mai solo la sua, così la storia di un Paese è la somma di tante vite, e alla fine si deve guardare avanti e indietro al tempo stesso, e di lato anche, se si vuol crescere sicuri, se si vuole provare a costruire su terreno stabile. come fa un uomo a finire? È piuttosto uno straordinario romanzo di formazione che sembra formarsi esso stesso fra mille contraddizioni, all’inseguimento di un protagonista anomalo: una specie di Candido che attraversa la vita senza sporcarsi pure a contatto con le più squallide e comunque provocanti situazioni, tra personaggi ambigui, o ancor meno reali di lui. Soprattutto la pietà va portata direttamente a chi ne ha bisogno, e lui va in Bosnia, a Mostar, dove la tregua è sfondata ogni giorno e c’è bisogno ogni giorno di sollievo, di aiuti materiali. Ma Vento di fuoco non è un romanzo storico, non solo: le intenzioni dell’autore probabilmente sono anche storiche (una rilettura di eventi ormai lontani, col cannocchiale rovesciato, si potrebbe parafrasare), però c’è pure un po’ di biografia familiare e c’è comunque una consapevole analisi sociologica. Il procedere del suo dire è franto, sincopato in più punti, eppure fa trasparire una disarmante chiarezza di intenti: non le si può negare la mano amica che chiede. E appunto come se il tempo non passasse per lei, si scopre la stessa autrice del primo libro, La teca di cristallo, di tre anni fa (in quella “teca”, chissà quanto metafora del fare poesia, ancora lei si protegge). Rodolfo Di Biasio, I quattro camminanti, Sansoni, Da molti anni, ormai, Rodolfo Di Biasio va tessendo una sua tela di memorie che lo lega, in una dimensione dell’anima quasi, all’America, o meglio – come la chiama lui – all’america, con la minuscola (e basta leggere la prima pagina del suo libro per capire il perché). È un paesaggio/stato d’animo? Molti altri esempi si potrebbero proporre, ma si fini­rebbe per to­gliere al lettore sensibile il piacere di scoprire, di cogliere nuda l’anima del po­eta. Eppure, come scrive Rossella Fusco nella prefazione di questo nuovo lavoro: “Sandra Cervone è poesia fatta donna”… Lei vive, respira poesia da almeno metà della sua vita! E siccome tutto ritorna, la lezione degli elementi è flusso di memoria che diventa viatico per le piccole orecchie di chi ascolta: qui c’è il nipotino David, al quale si racconta dell’infanzia e delle radici (“ineludibili”), in un “poemetto dell’ulivo” inebriato da una “luce” che “è dentro e non smuore”. Appassionata rivisitazione di quello che una volta si disse il Comunismo reale, Caduti dal muro di Barbieri e Ciampi è un esempio riuscito di cronaca calata nella grande storia. Oltre la Lucariello stessa, che ha scritto la prima delle cinque parti in cui è articolata l’imponente materia trattata, i testi sono firmati da un nutrito gruppo di lavoro afferente al Consultorio familiare dell’ASL Napoli 1 di Corso Vittorio Emanuele: venti firme che si alternano, singolarmente o a gruppi. La fluida versificazione, peraltro sovente franta dall’uso insistito della punteggiatura (esempio: “Sehnsucht”), è senz’altro un indice di buona preparazione linguistica e retorica; il repertorio lessicale è un altro indizio certo di studio non casuale: l’autrice di Ossidiana fa i conti con la sua vita, con la sua vita di artista, e sottovoce confessa illusioni e debolezze, ma con lo spirito dell’esploratrice, della viaggiatrice instancabile (com’è in realtà, presa continuamente dal desiderio di scoprire e misurarsi con nuove forme espressive). E c’è il tempo delle “corrispondenze” (“silenzi sempre più lunghi” e “abrasa memoria delle cose” – che pure furono “le rose della vita”): quando “le irrisolte strade” sono ormai “alle spalle” e si impone una “tregua”…  Infine, “è questo il tempo delle interrogazioni”, quando tutto ritorna, si incastra, nell’essere quello che era, elemento e parola che lo dice. Era davvero un atto dovuto la ristampa – a cura di uno dei massimi esponenti della cultura ciociara, Gerardo Vacana – del romanzo più noto, all’epoca, e da tempo fuori dal giro, di Giustino Ferri: La camminante. Hélia Correia tocca in questo suo lavoro narrativo un deciso vertice di inventiva – la suggestione della sua storia, incredibile (ma costruita come fosse verisimile), lascia incerti nel giudizio – o bisogna essere esperti di letteratura iberica per classificare i meriti di un libro così concepito. Lorezo Beccati, L’uccisore di seta, Kowalski. I porti dell’anima sono quelli in cui la vita ci sospinge, a volte facendoci sbattere sul molo, incauti o distratti, a volte fortunati se ci attende un amico o un’anima buona con una lanterna nella notte buia…  Un “ciottolo lanciato a perdersi nel vuoto” è l’avventura del vivere (in “Felicità”), un dado che non smette di volteggiare facendoci ansiosi di conoscere il verdetto: la poesia scruta oltre il nostro sguardo quotidiano e vaga in cerca di approdi in cui rifugiarci. Invece Domenico Defelice – poliedrico scrittore calabrese attivo per decenni nella promozione di eventi culturali – ha sempre conservato le lettere che gli inviava Nicola Napolitano e qualche anno dopo la morte dell’amico ne ha fatto un libro. La chiarezza espressiva, la sobrietà nel descrivere, la padronanza degli argomenti, sono i pregi di un libro che si legge volentieri proprio perché la precisione dei dati storici e scientifici, fra il didascalico e il pedagogico, e la vasta conoscenza di ambienti e persone, contribuiscono a coinvolgere il lettore in un grande gioco ad incastro. Beccati non è uno scrittore votato alla storia, ma sa come farla ricca di minuziose descrizioni d’ambiente e come alludere a sentimenti e sensazioni con poche frasi  incisive. Il fatto è che la vita fa sempre le stesse proposte – bisogna avere la forza, il coraggio, la pazienza o la sfrontatezza di sapere quando vanno accettate, e quali. Basile a “la smorfia”, con la scaramantica nonchalance tipica del partenopeo che nemmeno ha bisogno di fare le corna per scacciare il malocchio. Chiodo piantato ben fermo nella nostra testa, la fan­ta­sia fa perno nei nostri sogni e si avvita fino a penetrare il cuore, fino a sfondarci il petto per la brama di uscire, fino ad incontrare, all’orizzonte del no­stro orizzonte, nuove ma­ri­ne remote, altri lidi, approdi instabili ep­pure agognati con sete ine­stin­guibile di naufrago che ha creduto nel de­stino. L’esordio promette nuovi sviluppi – quel “fuoco” soffia ancora [2018]. Ci sono pagine, in Vento di fuoco, amene e descrittive, quasi a far riprendere fiato nell’incalzare delle vicende; ci sono squarci di indagine politica con riflessioni anche amare, sospese – non è banale regionalismo ricordarle – fra “gattopardi” e “giorni della civetta”: Busà conosce la letteratura che ha fatto grande la sua terra, e ne tiene conto, pur giocando alla citazione subliminale, senza approfittare della grande lezione, se non per costruire una sua dimensione letteraria, originale e complessa. “Mi hanno assegnato la parola” – scrive Monica, consapevole di un ruolo che non è soltanto raccontarsi, ma darsi nel suo lirico proporsi come storia raccontata. Dopo il Cilento di Maffeo, nella collana “Ritratti di città” diretta da Ugo Piscopo per l’editore Guida, ecco un’altra regione “che non c’è”… e forse il sottotitolo del libro di Carlino ha (anche) questo significato: la sua Ciociaria, infatti, è piuttosto un luogo, uno spazio dell’anima, custodito nella memoria. La congiura degli opposti richiede pazienza, più che attenzione: non basta leggere e rileggere, bisogna sciogliere enigmi e schivare allusioni che fanno deragliare il senso verso i limiti estremi di un’espressione elegante e sorniona, ricca di riferimenti preziosi, erede di vaste letture assimilate, che poco si cura di chi entra (bellissima l’immagine di copertina: la porta che si schiude invita a visitare un mondo magico: addirittura è Psiche a farci da accompagnatrice). In tale ricerca si muove lo scrittore, viandante incom­preso, il più delle volte, ma appagato dai pochi istanti felici che riesce a co­gliere e vivere (a dispetto della cattiveria da cui spesso è circon­dato). Il pregio di questo libro, infatti, oltre l’indovinato titolo, e la grafica di copertina (da classico del cinema neorealista), è nello stile, nella lingua che Finelli usa, e usa con ammirevole e deliziosa competenza. Ma, alla fine, chi è questo misterioso essere? File; File history; File usage on Commons; File usage on other wikis; Metadata; Size of this preview: 327 × 599 pixels. Pregevole sintesi critica (e antologica), questo volumetto di Raffaele Bussi si propone come punto fermo sulla produzione in prosa di Pasquale Maffeo. Abba­stanza rari fino a non molto tempo fa, i laureati co­stituiscono oggi un vero gregge, nel quale si fa sempre più difficile scorgere – am­messo che vi siano ancora – i ‘capi’.
2020 santi protettori strani